video con sottotitoli a cura di Elena Cesari*


«La si vede, è quella contro il muro, con le unghie scava / vie d’uscita, è talmente di frontiera che nemmeno / riesce ad essere nemica.»

(da Casa rotta, Arcipelago Itaca, 2016)


Biobibliografia

Valentina Maini è nata a Bologna nel giugno del 1987. Ha conseguito un dottorato in Letterature Comparate sul tema della guerra civile spagnola e delle sue trasfigurazioni letterarie. I suoi racconti, reportage e articoli sono apparsi su riviste quali «Horizonte», «retabloid», «CTRL Magazine», l’antologia di Effequ «Circospetti ci muoviamo». Ha pubblicato la raccolta di poesie Casa rotta (Arcipelago Itaca, 2016, primo premio Anna Osti) e il romanzo La mischia (Bollati Boringhieri, 2020). È traduttrice dall’inglese e dal francese.


Intervista

1. La parola è parte di un linguaggio conoscitivo e creativo, definisce e scardina. Qual è una parola che ritieni abbia rappresentato la tua esperienza poetica?

Credo sia, mio malgrado, «contrazione», in tanti sensi. Quelle della mia prima raccolta sono poesie contratte, talmente tese che quasi non circola aria, e mi si mozza il respiro. Il che forse è il contrario della poesia. Mentre le scrivevo, avevo come l’impressione di dover dire il meno possibile, che le parole dovessero stare all’interno di un piccolo quadrato e lì dentro soffocare. E infatti i connettori logici sono spesso assenti, e le parole si accavallano, come a volersi fondere in un’unica parola nuova. C’è poi anche il senso di acquisizione di un vizio o di un morbo, nella parola «contrazione», come se la poesia fosse il residuo, il lento sedimentarsi di una malattia, il dettaglio che smaschera la tua umile origine, le cattive abitudini.

2. Madri e padri del proprio percorso poetico: qual è il tuo rapporto con la tradizione letteraria e come essa ha influenzato la tua scrittura poetica?

I miei padri, o amanti, letterari non sono quelli che ho ammirato, o venerato (uno di questi è Cappello, citato in epigrafe), ma quelli che hanno risvegliato in me un senso di familiarità, che hanno fatto emergere un ritmo che già sentivo battere, sepolto, dentro di me, e che quindi mi hanno aiutato a trovarlo: Rimbaud, per la sete, il battito ossessivo di Campana e come ritorna nei versi di Rosselli, Stevens e la sua mente invernale, Dickinson e Plath per le ragioni opposte – la dolcezza, e la distanza – Montale, per tutto. Anche certe scritture in prosa (la Bachmann che a volte mi sembra più poetessa nei romanzi, Cortázar, un racconto soprattutto, che ha ispirato il titolo «Casa rotta») mi hanno aiutato a trovare lo slancio per scrivere in versi. Succede un po’ come succede agli amanti, non serve il sangue per somigliarsi. A furia di stare insieme, le espressioni si trasformano, e anche il modo di parlare, si crea un codice comune, persino i lineamenti a volte è come se si riposizionassero per ricalcare quelli dell’altro. È una specie di affinità elettiva che si riproduce a distanza di decine e centinaia di anni, tra la poesia messa su carta di un morto e quella ancora inesistente di un vivo.


Questo video è parte del progetto “Una come lei”.


*Elena Cesari

Nata a Castel San Pietro nel 1982, Elena Cesari è educatrice di professione. Da anni appassionata di pratiche e saperi agroecologici, è stata anche operatrice dell’accoglienza, insegnante di italiano L2 a persone di ogni età e provenienza geografica. Ha pubblicato Una viola, una pigna, un’ombra (Fondazione Mario Luzi Editore, 2014) e L’essenziale delle cose perse (Edizioni LietoColle, 2015). Attualmente studia la Lingua dei Segni Italiana ed è iscritta al Corso di Alta Formazione in “Linguaggi per l’accessibilità e l’inclusione” dell’Università di Bologna.