«Il terrore – di dire – e di non dire – la verità che a volte – arriva – in una notte / – mentre riposano i mille – personaggi che hai creato – e tu diventi – la loro / stanza vuota / Mutano e cadono – e non mutano le cose morte – l’ombra – che mi avvolge / di orizzonte – quando gli argini – non possono tollerare i fiumi – e un lago – / si dilaga sulla fronte »

(Elegia, Anterem, 2022)


BIO-BIBLIOGRAFIA

Mariasole Ariot, nata a Vicenza nel 1981, ha pubblicato Simmetrie degli spazi vuoti (Arcipelago, 2013), Anatomie della luce (Aragno, 2017), Elegia, opera vincitrice del Premio Lorenzo Montano (Anterem, 2022) e Essendo il dentro un fuori infinito (Caffèorchidea 2022). Ha pubblicato prose e poesie all’interno di antologie italiane e straniere, ed è redattrice di Nazione Indiana dal 2014.
Nell’ambito delle arti visuali ha creato il cortometraggio I am a Swan (2017) e Dove urla il deserto (2019).

 

INTERVISTA

1. La parola parte di un linguaggio conoscitivo e creativo, definisce e scardina. Qual è una parola che ritieni abbia rappresentato la tua esperienza poetica?

Una parola che attraversa (e mi ha attraversata) nelle sue diverse declinazioni, sia nella pagina come presenza che nell’immaginario come esperienza, è volto. Volto come paesaggio, volto come ciò che dice, volto che si contorce in una smorfia di dolore, volto senza bordo, quando i tratti sfuggono e si fondono con l’attorno, volto come territorio e territori come volto, volto dell’altro e volto allo specchio, volto come sguardo che guarda ed è guardato – volto come nascondiglio, volto sfregiato, volto in forma di parola che si rivolge all’esterno, volto schiacciato e rappreso, spremuto di proprio pugno(come in una nota serigrafia di Roland Topor), volto che cade, volto come il volto che nascondo.
Quanto la parola sia presente nei miei testi, non lo so dire, forse è una direttrice che sta nel sottofondo e che non emerge nei caratteri, che guida non a mostrare una direzione ma come parola-corpo che si inietta sottopelle e che dà origine al contenuto, alla sua forma. 

2. Madri e padri del proprio percorso poetico: qual è il tuo rapporto con la tradizione letteraria e come essa ha influenzato la tua scrittura poetica?

Se la genitorialità spesso vacilla, come in un’orfanotrofio dell’esistenza e della parola, è però vero che, se madre o se padre mi ha accompagnata o influenzata nella scrittura, ritrovo queste figure, più che in altri scrittori, in artisti visuali e musicisti: così ho cominciato a scrivere. Un sottofondo sonoro, e l’immagine di quadro, una fotografia. Bach, Satie, Stravinskji, ma anche in territori fuori dalla musica classica. Compositori come figure più grandi che accompagnano per mano il bambino. E poi: Ensor, Munch, Van Gogh, Dalì, Schiele. E la fotografia, o i fotogrammi di un’opera cinematografica. O i fili di Maria Lai.
Ma poi ci sono le fratellanze, le sorellanze, le amicizie a distanze di secoli, a ritroso nella storia. Ed è lì che ritorna la scrittura. Potrei fare molti nomi, tanti, ciascuno nella propria soggettività, un rapporto al singolare, ma ne farei due: Celan, arrivato come un’epifania nei miei venticinque anni, ed Eliot, il primo che con la sua The love song of J. Alfred Prufrock, ha spalancato mondi in cui ho trovato quel preciso sentimento del: “non sono sola”. 


Questo video è parte del progetto “Una come lei”.