«La violenza proteiforme genera falle nei sistemi, provoca / paure secondarie, faglie insanabili»
(Defrost, Interno Poesia Editore, 2022)
BIO-BIBLIOGRAFIA
Diletta D’Angelo nasce a Pescara nel 1997. Consegue la Laurea Magistrale in Italianistica presso l’Università di Bologna. Nel 2019 viene selezionata come autrice emergente per RicercaBO- Laboratorio di nuove scritture. Nel 2021 vince il premio Esordi di Pordenonelegge e dallo stesso anno collabora con la casa editrice Industria&Letteratura come social media manager e ufficio stampa. Nel 2022 vince il premio Ritratti di Poesia.si stampi. È tra i membri fondatori e vice presidente del progetto Lo Spazio Letterario. Dal 2023 collabora con la casa editrice Interno Poesia come ufficio stampa. Nel 2022 esce il suo primo libro Defrost (Interno Poesia Editore).
INTERVISTA
1. La parola è parte di un linguaggio conoscitivo e creativo, definisce e scardina. Qual è una parola che ritieni abbia rappresentato la tua esperienza poetica?
“La primissima parola che mi è venuta in mente è “violenza”, ma a questa farei seguire le parole “scavo”, “scoperta”, “costruzione”. Violenza perché la scrittura si è sempre rivelata una reazione a certi meccanismi; le altre parole perché sono state una conseguenza, delineando un percorso contemporaneamente di scrittura e personale.
Di meccanismi di violenza e di risposte e reazioni di paura a quest’ultima, poi, tento di parlare proprio in “Defrost”, mio esordio in poesia uscito a novembre 2022 per ‘Interno Poesia’.
Nel libro si parla di meccanismi di violenza esterni e interni a determinati sistemi, talvolta meccanismi quotidiani, quasi impercettibili e di come questi si subiscano e apprendano dal contesto esterno e si tramandino e replichino come una malattia. Si parla anche del congelamento da paura (freezing), di una delle due risposte biologiche e istintive che in natura si hanno in contesti di pericolo: il fingersi morti. E dell’invito al movimento, a una replica possibile”.
2. Madri e padri del proprio percorso poetico: qual è il tuo rapporto con la tradizione letteraria e come essa ha influenzato la tua scrittura poetica?
“A Bologna mi occupo da qualche anno di eventi, presentazioni, laboratori di poesia contemporanea e spesso, soprattutto durante i laboratori di poesia, capita che ragazze e ragazzi o neofiti di tutte le età, trovino la forza e la spinta per leggere qualcosa a un pubblico ipotetico per la prima volta. Il 90% delle volte, vengono letti dei calchi un po’ sghembi del Montale delle occasioni o di Ungaretti. Questo per dire che, troppo spesso, quando si inizia a muovere i primi passi, l’idea generale che si ha della poesia è ferma a quelle colonne d’Ercole lì, a una percezione scolastica. Anch’io ho avuto quegli stessi punti di riferimento se si parlava di poesia, anch’io ho scoperto l’esistenza di un panorama vivo con la partecipazione a quegli stessi laboratori in cui, in apertura, si leggeva sempre un testo
di un contemporaneo, di un poeta vivente con cui era ancora possibile il dialogo e lo scambio reale.
Tutto questo preambolo per dire che molto dipende dalla tradizione con cui ci mettiamo in dialogo, dall’idea di tradizione che abbiamo e dal modo in cui dialoghiamo. Come tante e tanti, custodisco nelle orecchie determinati suoni e metri, voci antiche, ma ho imparato a scoprirne e ad assorbirne di nuove. Credo sia fondamentale ascoltarle contestualizzando il periodo storico in cui si vive, senza perdere il contatto con la realtà circostante, e cercando di non fare dei nostri riferimenti solo un calco, una rigida riproduzione in scala”.